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Procreazione medicalmente assistita e rischio oncologico

Recentemente sono stati condotti molti studi per valutare la relazione tra uso di farmaci per la fertilità e rischio di sviluppare tumori. Sebbene l’infertilità, di per sé, sia un fattore di rischio per alcuni tumori femminili, incluso il cancro alla mammella, all’endometrio e all’ovaio, molti studi non hanno dimostrato un significativo rischio di questi tumori a seguito dell’utilizzo di terapie per la fertilità e i dati a disposizione sono rassicuranti.

Alcuni studi, anche se in minoranza, hanno dimostrato un possibile aumento del rischio relativo di tumore borderline dell’ovaio, sebbene l’aumentato rischio assoluto sia minimo e senza una relazione causale chiara.
Nella popolazione generale, i tumori dell’ovaio, dell’endometrio e della mammella sono associati a diversi fattori di rischio, come una bassa parità, l’infertilità, un menarca precoce o una menopausa tardiva. Spesso, molti di questi fattori coesistono nelle pazienti infertili: disordini ovulatori, endometriosi e infertilità inspiegata hanno un possibile ruolo nell’aumentato rischio di queste patologie tumorali.

La nulliparità è stata associata in maniera consistente a un aumentato tasso di tumore dell’ovaio, in particolare il tumore ovarico borderline ed endometrioide, più frequente nelle pazienti con una storia di endometriosi.
Differenti studi hanno riportato che le donne infertili non sono a rischio di tumore della mammella, ma possono essere, invece, più a rischio di tumore dell’endometrio, soprattutto se affette da disordini ovulatori.

L’infertilità maschile è stata associata a un aumentato rischio di tumore testicolare.
Il rischio e l’incidenza di cancro nei bambini concepiti grazie a trattamenti di procreazione medicalmente assistita sembrano essere simili a quelli dei bambini concepiti naturalmente.

La patologia tumorale in ambito ginecologico ed endocrinologico, nella popolazione delle donne infertili, è spesso sovrastimata perché sovradiagnosticata a causa di una stretta e rigida sorveglianza da parte dei medici nei confronti di queste donne “particolari”.

Il tumore dell’ovaio ha la più alta mortalità tra tutti i tumori ginecologici. Sono stati individuati molti fattori che hanno un ruolo predominante nell’aumentata incidenza di tumore ovarico: predisposizione genetica, età del menarca e della menopausa, la gravidanza e l’allattamento, l’uso di contraccettivi orali e la parità. La multiparità e l’utilizzo di contraccettivi che inibiscono l’attività ovulatoria sono fattori importanti nel diminuire il rischio di questo tumore.

Si pensa invece che farmaci che inducono l’ovulazione abbiano un effetto carcinogenico e/o promotore a causa della teoria dell’ovulazione incessante come agente eziologico del tumore ovarico.
Altro fattore importante in ambito oncologico sono le infezioni del tratto genitale che causano infertilità, perché possono agire anche sull’epitelio di superficie ovarica, incrementando il rischio di trasformazione tumorale.

La sindrome dell’ovaio policistico, la più comune causa di infertilità anovulatoria, è correlata a un’alta frequenza di iperplasia e metaplasia dell’epitelio di superficie dell’ovaio e quindi, indipendentemente dall’uso di farmaci per la fertilità, in casi di policistosi ovarica va posta particolare attenzione all’aspetto ecografico sia endometriale sia ovarico.

Nei trattamenti di fecondazione in vitro l’aspirazione degli ovociti mediante puntura ovarica può accelerare la crescita di un tumore preesistente, ma il trattamento in sé non è associato a un aumento significativo del rischio di sviluppare un tumore ovarico invasivo. Inoltre, nelle pazienti sottoposte a procedure di procreazione medicalmente assistita, la richiesta periodica di accertamenti e l’attento follow-up portano spesso a una sovradiagnosi o, meglio, a una diagnosi precoce di tumori già esistenti, specialmente di tumori ginecologici.
Numerosi risultati sono largamente rassicuranti, dimostrando che non sussiste un aumentato rischio di tumore ovarico a seguito dell’uso di clomifene o gonadotropine anche per lunghi periodi.

Per quanto riguarda, invece, il tumore della mammella, sebbene numerosi studi non abbiano trovato un’associazione di rischio relativo all’uso di clomifene, ci sono alcune indicazioni di rischio aumentato tra le donne con un lungo periodo di utilizzo di gonadotropine (più di 6 mesi o 6 cicli di trattamento), questo potrebbe essere dovuto all’incremento dei livelli sierici di estrogeni e progesterone indotti.

Uno studio ha valutato la relazione con le terapie per l’infertilità nelle donne portatrici della mutazione BRCA1 e BRCA2, senza evidenza di una significativa correlazione con lo sviluppo di tumore alla mammella.
Il tumore dell’endometrio è tipicamente ormono-sensibile e potrebbe essere uno dei più fortemente influenzati dall’uso di terapie per la fertilità. Il più alto rischio sembra essere correlato a una dose cumulativa totale di clomifene di 2250 mg oppure più di 12 cicli.

Molta attenzione è stata posta sull’uso di farmaci per l’induzione dell’ovulazione e il loro potenziale effetto oncogeno su organi di pertinenza ginecologia e non, quali colonrettopolmonitiroide e cute. Alcuni studi hanno supposto che i farmaci per la fertilità potessero incrementare il rischio di tumore della tiroide, mentre esistono dati conflittuali riguardo l’associazione tra i farmaci per la fertilità e il rischio di melanoma.

L’uso di clomifene citrato non è correlato a tumore del colon-retto, né ai polmoni, ma è stato associato a un rischio significativamente aumentato di melanoma e a un rischio non significativamente aumentato di tumore tiroideo. L’aumentato rischio di melanoma è stato associato all’uso di meno di 900 mg di clomifene e a meno di 6 cicli, soprattutto se le donne iniziavano l’utilizzo del farmaco prima dei 30 anni di età. Per il tumore della tiroide, il maggiore rischio è stato osservato nelle donne più esposte al farmaco: dose complessiva superiore a 2250 mg e più di 12 cicli, mentre non vi è alcuna correlazione con l’età di inizio. L’uso di gonadotropine non è correlato, invece, ad alcun aumentato rischio tumorale non ginecologico.

Col passare degli anni, l’utilizzo delle tecniche di riproduzione assistita sta aumentando a seguito dell’incremento delle condizioni patologiche, degli inquinanti ambientali ed endocrini che portano a una riduzione della fertilità; parallelamente, l’utilizzo sempre più personalizzato di farmaci per l’induzione dell’ovulazione mira a ridurre gli effetti collaterali a breve e a lungo termine, grazie ai progressi della farmacologia e alla sperimentazione di protocolli sempre più sicuri ed efficaci.

Sicuramente saranno necessari altri studi con lunghi periodi di osservazione delle pazienti sottoposte a terapie per la fertilità, ma negli ultimi decenni sono emersi dati sempre più rassicuranti e che rispondono a paure e dubbi che ancora oggi affliggono chi si affaccia al campo della procreazione medicalmente assistita.

Dott.ssa Monica Prina – Centro di Procreazione Medicalmente Assistita, IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia
fonte: www.fondazioneserono.org